Il piccolo centro turrito posto in prossimità dell’alta Val d’Egola che Leonardo disegna nella mappa RL 12278 di Windsor con il nome di “sancto stefano”, fra Montaione, Barbialla e Collegalli, deve essere identificato nel castello di Santo Stefano, un piccolo centro di origine medievale di cui rimane traccia oggi nell’omonima frazione del comune di Montaione. All’antica comunità di Santo Stefano apparteneva la chiesa di San Bartolomeo a Santo Stefano, che rimane oggi lungo la strada maremmana, a circa quattro chilometri a nordest di Montaione.
Il castrum di Santo Stefano viene rammentato per la prima volta nel 1182. Si tratta della vera e propria cessione del castello con tutte le sue pertinenze –compresi gli abitanti del castello e i diritti su di essi- da parte dei signori del luogo, i fratelli Guascone, Ranuccio e Benno, quest’ultimo titolare della pievania di Chianni. I tre uomini, con il consenso del padre Ugolinello, vendono il castello a due personaggi, Astone e Oddone di Rolandino. L’atto di vendita viene rogato nella villa di Varna, sotto un edificio porticato. Non conosciamo i personaggi protagonisti della cessione del castello di Santo Stefano, tuttavia gli uomini coinvolti sembrano collegati all’aristocrazia minore di questi luoghi. Del resto Varna, il luogo in cui viene rogato l’atto, si trovava, come il castello di Catignano, nell’orbita dei possedimenti valdelsani dei Cadolingi. Troviamo infatti esponenti dei conti di Fucecchio attivi in quest’area fino a tutto l’XI secolo, assieme ad esponenti delle famiglie locali come i Ghisolfi e i de Calebona. Dunque il luogo detto “sancto stefano” ricordato fra i beni donati dai Cadolingi nel 1034 all’abbazia fucecchiese di San Salvatore è da identificarsi, con ogni probabilità, con il castrum Sancti Stefani del documento del 1182.
Il centro fortificato comincia ad essere rammentato nelle fonti scritte con regolarità nel corso della seconda metà del Trecento. A quel tempo doveva far parte del territorio della città di San Miniato, come molti altri castelli di questo settore valdarnese, fra cui anche Montaione, Collegalli, Barbialla e Tonda. Nella seconda metà del Trecento, tuttavia, il districtus sanminiatese, con tutti i suoi centri, entra definitivamente a far parte del contado della città di Firenze. La politica fiorentina si era rivolta infatti in quegli anni verso l’acquisizione del controllo, a fini commerciali, dell’importantissimo nodo stradale su cui San Miniato aveva avuto, fino ad allora, ogni diritto. Nel 1369 i castelli sanminiatesi si sottomettono a Firenze, entrando definitivamente a far parte del contado fiorentino. Fra questi si conta anche il castello di Santo Stefano. Risulta, fra l’altro, che gli uomini di Castelfiorentino, che avevano aiutato Firenze nelle operazioni militari in territorio sanminiatese, chiesero il rimborso delle spese sostenute durante le operazioni di assedio dei castelli di Castelnuovo e Coiano, e per aver garantito per ben sei mesi l’occupazione del castello di Santo Stefano. Dopo la definitiva sottomissione a Firenze il castello di Santo Stefano entra a far parte, assieme al castello di Collegalli, della podesteria di Barbialla.
La comunità di Santo Stefano viene dunque inserita nella maglia del sistema amministrativo della repubblica Fiorentina, le cui fonti fiscali consentono di avere qualche informazione in più sulla sua storia. I dati del censimento della popolazione ricavati dagli estimi della fine del Trecento e dei primi del Quattrocento ci dicono che i residenti del luogo facenti capo al castello di Santo Stefano non raggiungevano, a quel tempo, il centinaio di unità. Il numero delle famiglie variava da un minimo di 20 ad un massimo di 27 nuclei familiari registrati nell’anno 1400. Si trattava, dunque, di una comunità molto piccola. Il castello di Santo Stefano era sicuramente ancora dotato di strutture in buono stato di conservazione quando nel 1414 viene dichiarato il possesso di una casa posta all’interno del castello, confinante con un altro immobile ad uso abitativo, con la strada e con altre proprietà del comune. Tuttavia molti dei dichiaranti risultano a quella data oramai residenti in altre località fra cui, per la maggior parte, San Miniato, Castelnuovo e Montaione. Si tratta di un indizio di mobilità: è possibile immaginare che fra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento il castello tendesse a spopolarsi pur conservando, con ogni probabilità, la sua fisionomia di villaggio circondato da mura.
È dunque questo l’aspetto con cui Leonardo rappresenta, ancora ai primi del Cinquecento, il piccolo centro di Santo Stefano. Il castello leonardiano di Santo Stefano occupava probabilmente il piccolo poggio circolare sede di un casale nell’omonima frazione del comune di Montaione. La chiesa di San Bartolomeo, una semplice aula a pianta rettangolare coperta con tetto a capanna, è completamente intonacata all’interno. Tuttavia la recente rimozione dell’intonaco della facciata consente di riconoscere alcuni brani del paramento murario originario, realizzato in conci squadrati di pietra arenaria. Si tratta probabilmente della chiesa castellana, registrata negli elenchi delle Rationes Decimarum della fine del Duecento e dei primi del Trecento, ma citata con il titolo di San Bartolomeo solo nel 1348.
A cura di
Silvia Leporatti
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