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Cerreto Guidi

Leonardo disegna Cerreto Guidi in una delle mappe di maggiore dettaglio che rappresenta il Valdarno Inferiore, la carta RL 12685 di Windsor. È collocato ad ovest di Collegonzi, sulla riva destra del fiume, poco a monte rispetto alle anse che risultano essersi formate nel piano dell’empolese. Cereto disegnato da Leonardo ha la forma di un villaggio fortificato dotato di ben otto torri. Così doveva apparire all’inizio del Cinquecento, prima dei lavori che trasformarono l’antico castello dei conti Guidi in una delle più belle ville medicee del Valdarno.

Prima della costruzione del castello dei conti Guidi, citato per la prima volta nel 1086, la zona era già punteggiata da una serie di villaggi dipendenti dalla pieve di Cellere, uno dei plebati più lontani della diocesi di Lucca. La pieve e i villaggi di Cellere erano controllati, a quel tempo, da famiglie signorili vicine al vescovo di quella città. Fra i nomi dei villaggi riconosciamo alcuni dei luoghi leonardiani come S. Senzio (San Zio) e Strela (San Bartolomeo a Streda). A poca distanza dalla pieve e al centro di quello che era il territorio dei suoi villaggi sorse il castello dei conti Guidi. Nel 1086 è il castello di Cerreto il luogo in cui si trova l’anziano conte Guido IV con la moglie Ermillina nell’atto di formalizzare il patronato della famiglia su uno dei monasteri mugellani. Nel 1114, invece, troviamo per la prima volta rammentati, oltre al castello di Vinci, il castello di Cerreto con i suoi borghi (et burgis suis). Dunque all’inizio del XII secolo i possessi della famiglia comitale in questa zona del Valdarno sembrano essere in espansione e i singoli centri fortificati in fase di crescita: il castello di Cerreto ha già, a questa data, più borghi esterni alle mura. E sempre nei primi decenni del XII secolo dobbiamo immaginare avvenuto il trasferimento dell’antica pieve di Cellere all’interno del castello costruito da poco. Per indicare la pieve, infatti, non viene più usato il vecchio toponimo di Cellere ma il nome plebe de Cerreto. È a seguito dell’importante evento, la costruzione del nuovo edificio plebano entro le mura del castello, che la chiesa deve aver assunto la nuova dedica a San Leonardo, santo per il quale i conti Guidi avevano una speciale devozione. È a San Leonardo, infatti, che a quel tempo, gli anni prima crociata, erano rivolte le preghiere per la liberazione dei cavalieri fatti prigionieri dai mori. I resti dell’abside originaria della pieve guidinga di San Leonardo sono visibili oggi all’altezza del pavimento del presbiterio della chiesa attuale, radicalmente riconfigurata nel corso dell’Ottocento. La residenza e gli edifici del conte, che dovevano occupare la sommità del castello, furono definitivamente cancellati con la costruzione della Villa Medicea di Cosimo I. Avanzi degli edifici dell’antico castello dei conti Guidi si possono forse riconoscere nei ruderi visibili sulla sinistra della scalinata della Real Villa nella famosa incisione di Giuseppe Zocchi (1744).

Come Vinci e molti altri castelli in partibus Greti, anche Cerreto venne ceduto dai conti Guidi a Firenze nel 1254. L’atto di vendita cita letteralmente il castello de Cerreto sicut circumdatum est muris et ripis et foveis. Entrato definitivamente a far parte del contado fiorentino si trovò coinvolto, ben presto, nelle faccende belliche che infiammarono le contrade di Greti. Questa zona, per la sua posizione strategica in direzione della Val di Nievole, fu spesso teatro di guerra nel quadro che oppose nel corso del Trecento le città di Lucca e Firenze. È in questo clima di insicurezza che si inserisce l’episodio della ribellione di Baldinaccio degli Adimari che nel 1315, passando dalla parte di Lucca, si impadronì di Cerreto in funzione anti fiorentina. La famiglia fiorentina degli Adimari, i cui avi erano stati vicini ai conti Guidi, divennero i principali proprietari di terre nelle zone di Cerreto e Vinci. Furono infatti protagonisti dell’acquisizione di molte delle terre dell’ex possesso guidingo di Greti, come rammenta l’annalista Simone della Tosa: “il Comune [di Firenze] comperò loro [ai Guidi] ciò, ch’egli aveano in Gretti, e poscia rivendéo a certi uomini di Firenze, e comprarne gli Adimari assai”. A seguito di questi fatti Firenze decise di accrescere le difese di Cerreto ordinando la costruzione di un nuovo circuito murario. Come dicono le fonti del tempo, il nuovo circuito murario avrebbe dovuto abbracciare l’intero abitato, ovvero il castello con i borghi anulari cresciuti nel corso del tempo. Il muro, alto quasi nove metri, sarebbe stato costruito in parte in muratura e in parte di terra: i primi due metri al di sopra delle fondazioni e la fascia sommitale dovevano essere realizzati in conci di pietra e laterizi legati con malta mentre la fascia intermedia sarebbe stata fatta de terra, ovvero con tecnica pisè (terra pressata in casseforme). Questa tecnica costruttiva è presente nelle fasi trecentesche di diversi castelli di questo settore del Valdarno. La si trova rammentata anche nella costruzione delle case dei castelli di Monterappoli e Granaiolo. Il nuovo muro di cinta doveva essere rinforzato da otto torri dotate, come la parte sommitale della cortina, di camminamenti e merli. Infine sarebbero state aperte le nuove quattro porte corrispondenti all’uscita degli assi viari principali: le porte Fiorentina e al Padule sull’asse Sud-Est/Nord-Ovest e le porte al Palagio e a Vatignano sull’asse Nord-Est/Sud-Ovest.

Nel Quattrocento a Cerreto convivevano i vecchi edifici della parte alta, l’antico castello dei Guidi e la pieve romanica di San Leonardo, con l’importante intervento trecentesco delle nuove mura. Sul circuito murario, dotato di otto torri e che seguiva, ampliandolo, il percorso delle vecchie ripe, si aprivano le quattro porte. Un disegno che restituisce l’immagine di Cerreto al tempo di Leonardo è certamente la bella pianta tardo cinquecentesca dei Capitani di parte Guelfa, dove il castello è rappresentato esattamente in questo modo. Si leggono nitidamente i nomi delle quattro porte. La porta Fiorentina, in corrispondenza dell’attuale Via Roma, immetteva nella strada per San Zio e la valle dell’Arno e fu demolita nel 1648. La porta al Padule si trovava in corrispondenza di Via Guidi e fu demolita nel 1830. La porta a sud-ovest, nell’attuale Via del Mortaio, viene descritta come disfatta. Infine la porta al Palagio è ancora visibile in fondo allo Sdrucciolo della Porta, sulla via per andare a Toiano e Vinci. Il riferimento al Palagio dovrebbe dipendere dal fatto che conduceva alla parte alta del castello, dove era certamente, in antico, il palatium comitale e successivamente la residenza del podestà. L’ingresso di Cerreto nel quadro dell’amministrazione fiorentina, infatti, doveva aver reso necessario l’aggiornamento di alcuni edifici della parte alta del castello: è forse a questa fase che si deve collegare la struttura voltata a quattro fornici con pilastri in conci squadrati di arenaria che si trova alla base del campanile della chiesa di San Leonardo. Corrisponde dunque a questa immagine la forma con cui Leonardo ha disegnato il castello di Cerreto nella famosa veduta a volo d’uccello della mappa RL 12685 di Windsor. Si tratta di una rappresentazione che sembra voler riprodurre alcune delle caratteristiche strutturali di Cerreto di quel tempo, come ad esempio le otto torri del circuito murario rese nello schizzo leonardiano che furono letteralmente richieste nella provvisione fiorentina del 1336: octo turribus altitudinis viginti quinque brachiorum. Otto torri dell’altezza di circa 15 metri, quasi il doppio dell’altezza delle mura. Le torri dovevano innalzarsi sul filo delle mura in modo nitido, creando un profilo particolare se osservato a distanza. È questo l’effetto reso da Leonardo nel suo disegno. Infine, al centro del Cerreto leonardiano sembra di scorgere i particolari degli edifici della parte vecchia del castello dove si trovavano effettivamente, a quel tempo, la pieve di San Leonardo e il palagio del podestà. Ancora non c’è traccia della grande fabbrica della Villa Mediacea di Cosimo I che sarà realizzata sulla parte alta del castello diversi decenni dopo.
A cura di
Silvia Leporatti
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