Il castello segnato come “monte rappoli” che Leonardo raffigura sulla mappa RL 12278 di Windsor presso l’Elsa, fra Empoli e Granaiolo, corrisponde all’attuale Monterappoli, piccola frazione del comune di Empoli. Leonardo rappresenta il piccolo centro valdelsano nella forma assunta durante il Basso Medioevo, ovvero quella di piccolo centro fortificato dotato di mura e torri, mantenuta almeno fino all’inizio del Cinquecento. Durante il periodo medievale Monterappoli era, infatti, uno dei castelli valdarnesi della potente casata comitale dei Guidi.
La prima attestazione di Monterappoli risale alla fine del X secolo, quando viene rammentato come una delle località dove si trovavano le terre che il marchese Ugo donò all’abbazia regia di Marturi assieme ad una serie di altre proprietà distribuite lungo tutta la Valdelsa. È molto probabile che le terre di Monterappoli, come anche quelle della curtis di Lucardo, appartenessero in origine al fisco regio. La località torna ad essere menzionata nel 1075 in relazione ad un personaggio femminile, Teberga figlia di Teuderico da munte rappuli, vedova a sua volta di uno degli esponenti del gruppo familiare dei Ghisolfi che a quel tempo possedevano diversi castelli fra la Val di Pesa e la Val d’Elsa, fra cui Montespertoli. Nell’atto in questione Teberga cede alcuni dei beni che le erano pervenuti dal defunto marito ad un altro gruppo familiare, quello dei signori di Callebona. I personaggi che gravitavano attorno all’eredità di Teberga appartenevano infatti a due gruppi familiari che condividevano l’esercizio dei diritti signorili sui medesimi luoghi ed uno speciale legame con la famiglia comitale dei Cadolingi – almeno fino all’estinzione della casata, all’inizio del XII secolo – e con il monastero di Passignano. Tuttavia nel diploma federiciano del 1164 “Mons Rappuli cum sua curte” compare fra i castelli concessi dall’imperatore ai conti Guidi, assieme ai vicini castelli di Empoli, Granaiolo, Torre Benni Colle di Pietra e ad altri centri valdarnesi.
Significativamente è dell’anno successivo, il 1165, la data che si legge sull’architrave della pieve di San Giovanni Evangelista, che sorge a poca distanza dal castello. L’iscrizione, firmata dal magister Bonseri, riferisce l’anno della costruzione della chiesa, che viene concordemente attribuita al all’artefice lombardo. Si tratta di uno degli edifici plebani più significativi del romanico valdelsano. L’edificio è composto da un’unica grande aula absidata interamente realizzata in laterizio. La facciata, scandita da lesene, presenta un unico elemento decorativo nel coronamento, costitito da archetti intrecciati, realizzati sempre in laterizio. Il portale, con arco a tutto sesto su colonne modellate in laterizio, è sormontato da una bifora evidenziata entro una porzione aggettante del prospetto di facciata, corrispondente all’ampiezza del portale. L’apertura sembra incunearsi all’interno del prospetto giocando sui piani degradanti della ricca serie di cornici e fornici che incorniciano le luci della bifora. Gli elementi più caratteristici di questa fabbrica, la più antica nel suo genere, si ritrovano in altri edifici valdelsani, fra cui la collegiata dei Santi Lorenzo e Leonardo e la pieve dei Santi Ippolito e Biagio a Castelfiorentino e la canonica dei Santi Iacopo e Filippo a Certaldo. La pieve di Monterappoli deve certamente la monumentalità del suo impianto alla prossimità con uno dei tracciati alternativi della via Francigena sulla sinistra dell’Elsa.
Il 12 agosto del 1254 il castello di Monterappoli viene venduto a Firenze dai suoi antichi proprietari, rispettivamente e ciascuno per la sua parte, da Guido Novello di Modigliana, Guido Guerra e Ruggero di Dovadola e Guido di Romena di conti Guidi. La vendita coinvolgeva diversi castelli di quel settore del Valdarno Inferiore appartenenti alla stessa casata comitale: Empoli, Cerreto Guidi, Vinci e Collegonzi. Verso la fine del secolo il castello di Monterappoli si trova coinvolto in modo particolare nelle vicende legate alla rapida costituzione del contado fiorentino. Si trovava, infatti, nella zona di confine fra l’area su cui si concentravano le mire espansionistiche della potente città gigliata e il territorio rivendicato da San Miniato. Nel corso del XIII secolo, infatti, il castello imperiale era riuscito a creare un vasto comitatus che raggiungeva, sul limite nord-orientale, la zona della confluenza dell’Elsa con l’Arno. Nel 1297 Firenze intese ridefinire questa linea di confine che sostanzialmente coincideva con il fiume Elsa. La prescrizione fiorentina, nella forma della missiva inviata a tutte le comunità interessate, elenca i comuni rurali che dovevano occuparsi in modo specifico della difesa del confine sull’Elsa. Fra questi, assieme al comune di Monterappoli, le comunità di Empoli, Borgo Santa Fiora, Granaiolo, Castelfiorentino, Catignano, Gambassi, Montignoso e Certaldo. All’inizio del Trecento, nel 1311, l’imperatore Enrico VII, di stanza a Pisa, conferma Monterappoli fra i castelli rivendicati dall’Impero. In quegli anni, infatti, l’area della confluenza dell’Elsa nell’Arno era diventata l’avamposto della città di Firenze lungo il suo confine sud-occidentale della linea di confine. Solo due anni dopo Monterappoli risulta tuttavia compreso fra luoghi forti oggetto di attenzione speciale da parte della città di Firenze. Nel 1313, infatti, gli uomini di Monterappoli vengono esonerati dagli ufficiali fiorentini dal versamento del contributo per le speso di fortificazione di Empoli perché già oberati dall’impegno per la custodia e l’apprestamento difensivo del loro castello. Alla fine del Trecento il piccolo centro valdarnese risulta entrato definitivamente nell’orbita fiorentina, ed organizzato politicamente come comunità rurale. Nel 1393 si dota di un testo statutario, redatto per la comunità da Ser Albizzo Fantoni da Pistoia.
Il primo documento che ci parla della consistenza materiale del castello di Monterappoli è l’atto di vendita del 1254 con cui i conti Guidi cedono a Firenze “castellaris Monterappoli sicut girant ripe et fovee”. A giudicare dal testo, che utilizza il termine castellare – in genere una fortificazione non più in uso – alla metà del Duecento le difese di Monterappoli non dovevano versare in buone condizioni. Il medesimo testo mostra anche, tuttavia, che il castello un tempo era dotato di un sistema di difesa composto, oltre che dalle mura, da ripe e fossato antemurale, strutture che ancora definivano – probabilmente assieme a ciò che restava del muro di cinta – il perimetro del centro fortificato. L’atto di vendita del castello del 1254 riporta anche la prima menzione della chiesa castellana intitolata a San Lorenzo che si trova oggi visibile, seppure in forme tarde, nella frazione di Monterappoli (Comune di Empoli). All’inizio del Trecento, tuttavia, il castello doveva aver già recuperato la sua funzione difensiva. Risulta infatti che fu oggetto di speciali attenzioni da parte dei soggetti che gravitavano attorno alla linea di confine dell’Elsa, in modo particolare la città di Firenze. Nel 1313 gli abitanti di Monterappoli ottengono l’esonero da un obbligo di tipo fiscale in ragione delle alte spese da loro sostenute per la messa a punto delle difese del proprio castello La documentazione tre-quattrocentesca prodotta dalla città dominante ci illumina sulla consistenza materiale del castello di Monterappoli nel Basso Medioevo. Nel 1368 gli Ufficiali delle Castella ordinano l’ampliamento del castello ritenuto troppo piccolo per accogliere anche la popolazione che abitava nelle ville del circondario. Gli Statuti di Monterappoli del 1393 confermano il fatto che ancora a quella data erano in corso i lavori di ristrutturazione delle difese castellane. Viene infatti prescritto che le gabelle dovute dai forestieri debbano essere interamente destinate alle spese per le mura, le torri e le bertesche del castello. Le stesse opere di difesa erano oggetto di speciali prescrizioni finalizzate alla conservazione delle stesse. Dagli statuti apprendiamo che molte delle case di abitazione erano state costruite a ridosso del muro di cinta. Coloro che possedevano una casa accostata al muro del castello erano responsabili della manutenzione del muro stesso e dell’efficienza della difesa. Nello specifico, viene ordinata la realizzazione di un canale in muratura atto a far defluire l’acqua piovana sull’esterno del muro del castello in modo da scongiurarne il rapido degrado dovuto alle piogge. All’interno del castello, oltre alla chiesa, esisteva anche un edificio detto “casa dello comune” dotato di “logia”, localizzato in uno spazio pubblico interno al castello e destinato ad ospitare i funzionari del comune. Un secolo dopo il castello sembra essere ancora dotato di strutture difensive, ma appare decisamente più articolato. Dalle dichiarazioni del catasto del 1427 l’abitato risulta partito in un nucleo più antico, il Chastelvecchio, ed in una parte più recente, il Castelnuovo. Il primo comprendeva la maggior parte delle abitazioni dei residenti, in molti casi aderenti alle mura del castello, alcune in buone condizioni, altre apparentemente fatiscenti (“casa in puntelli”). L’abitato aveva una sua viabilità interna: si rammenta, infatti, una significativa “Via delle Liti”. Nel Castelvecchio si trovava anche uno degli edifici più complessi dell’intero abitato (casa da lavoratore e casa da signore, con cella e altri edifici con botti da vendemmia) che confinava con la Casa del Comune. Se per questi complessi edilizi si può immaginare una tecnica costruttiva in pietra, sappiamo che in altri casi le abitazioni del castello potevano essere realizzate in terra cruda (“casa di terra”). L’altro settore dell’abitato, il cosiddetto Castelnuovo, sembra coincidere con un’area di espansione edilizia detta “borgo di San Piero”. Vi sono documentate case di abitazione che confinano, in alcuni casi, con il “fosso vecchio” (il fossato del castello). Vi si trovava anche la “casa dello spedaliere”, il rettore di una struttura per l’accoglienza che si trovava all’esterno del centro abitato, in località Romitorio. È questo grosso modo l’aspetto con cui Leonardo riproduce Monterappoli nella sua mappa RL 12278 di Windsor. Il centro valdelsano viene disegnato come un castello dotato ancora di un circuito difensivo munito di torri. All’inizio del Cinquecento, dunque, il castello di Monterappoli doveva avere ancora la consistenza materiale e l’aspetto che aveva assunto nel Basso Medioevo, nonostante fossero già in atto i primi segnali di trasformazione dell’impianto difensivo. Nel 1507, infatti, viene fatta richiesta di acquisto di una parte del fossato e delle ripe, evidentemente non più in uso. Ancora, nel 1511, un cittadino fiorentino, tale Pier Maria Portinari, che aveva acquistato una delle torri del muro castellano, chiede di poterla abbassare di qualche metro. Anche in questo caso si assiste alla progressiva defunzionalizzazione delle difese del castello. Oggi infatti del castello di Monterappoli così come lo vide Leonardo non esiste traccia, ad eccezione di alcuni ruderi visibili nei pressi della chiesa di San Lorenzo, dove si trova la via detta “del castello”.
A cura di
Silvia Leporatti
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