Ancor oggi molte sono le ipotesi e i dubbi relativi ai legami che Leonardo strinse con i suoi contemporanei. Accanto all'ascendenza culturale di artisti e pensatori a lui coevi, decisiva fu anche l’influenza esercitata dall’opera dei suoi predecessori. Questi rapporti, talora complessi e non sempre chiaramente documentati, sono però assai utili per comprendere la personalità e il percorso formativo di Leonardo. Interessante, anche se non sempre agevole, è ripercorrere un itinerario che leghi personaggi e luoghi fiorentini visti e frequentati dal genio vinciano.
Al pari degli altri artisti rinascimentali, Leonardo si cimentò nello studio di opere di arte classica. Molto probabilmente il sarcofago con la Caduta di Fetonte oggi agli Uffizi e la testa bronzea di cavallo appartenuta a Lorenzo il Magnifico e attualmente conservata al Museo Archeologico di Firenze, non mancarono di affascinare il giovane artista. Un’eco di questa iniziazione al mondo classico si ritrova in un disegno di soggetto mitologico come il Nettuno della Biblioteca Reale di Windsor, nel quale il soggetto antico è abilmente reinterpretato alla luce delle molteplici tensioni creative dell’artista; questo studio preparatorio ricorda il disegno di identico soggetto, oggi perduto, dato in dono da Leonardo all’amico Antonio Segni, quando questi si trasferì a Roma per dirigere la Zecca papale nel 1505.
La sua dichiarata ammirazione per Giotto e Masaccio è significativa quanto quella, implicita, per Brunelleschi.
Il Verrocchio è celebrato come suo maestro, ma sicuramente egli fu influenzato anche dai Pollaiolo e da opere di artisti fiamminghi, eseguite in Firenze o provenienti dalle Fiandre (Jan van Eyck, Roger van der Weyden oggi agli Uffizi).
Nei suoi manoscritti, sparse fra note di vita quotidiana, ricerche bibliografiche e appunti di carattere artistico e tecnologico, si trovano numerose citazioni di amici, compagni e conoscenti: fra di essi si può ricordare Francesco Sirigatti, astronomo e inventore, che menziona nel Codice Arundel («Mostra al Serigatto il libro e fatti dare la regola de l’orilogio»), o Fioravanti di Domenico («in Firenze e compagni, amantissimo quanto mai», in un foglio del 1478 nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi).
Ne emerge un ricco intreccio di coincidenze e interscambi, che mette in luce la complessità della vita e dell’opera di Leonardo nei rapporti personali e nelle predilezioni culturali: dai miniatori Vante e Gherardo all’orafo Niccolò di Forzore Spinelli (che a lui riferiva sull’idrologia nelle Fiandre), da Paolo dal Pozzo Toscanelli («Pagolo medico») a Bendetto Dei (per il «viaggio in Oriente»), dai Biringuiccio senesi ai familiari di Amerigo Vespucci, uno dei quali scriveva le sue lettere. Ancor oggi ci si interroga su chi fosse questo personaggio: si trattava forse di Bartolomeo, matematico e cosmografo, nipote di Amerigo Vespucci, o di Agostino, assistente di Machiavelli? Più probabilmente è invece da identificare con Giorgio Antonio Vespucci (1453-1512), zio di Amerigo, amico del Ficino, seguace di Savonarola e frate domenicano in San Marco dal 1499, che lasciò i suoi libri alla Biblioteca di questo convento.
Il 25 gennaio 1504 Leonardo partecipò al consulto per la collocazione del David di Michelangelo. L’elenco degli artisti interpellati insieme a lui riassume il quadro dei rapporti che intercorrevano nella Firenze del tempo. Fra gli amici di Leonardo, per lo più menzionati anche nei suoi manoscritti, troviamo: Andrea della Robbia, Benedetto Buglioni, Botticelli, Cosimo Rosselli, Francesco Granacci, Giovanni Piffero, Giuliano e Antonio da Sangallo, Lorenzo della Volpaia, Michelangelo orafo, Perugino, Piero di Cosimo, Riccio orafo, Simone del Pollaiolo, Vante miniatore.
In passato sono stati spesso sottovalutati il numero e l’importanza degli allievi facenti parte della bottega e della scuola di Leonardo. Solo studi recenti hanno approfondito queste ricerche e ampliato le conoscenze in proposito. Fra i suoi allievi in Firenze, l’Anonimo Gaddiano ne menziona solo cinque.
Uno, Atalante Migliorotti, è ricordato per la musica: «[Leonardo] fu eloquente nel parlare et raro sonatore di lira, et fu maestro di quella d’Atalante Migliorotti… Haveva 30 anni che dal detto Magnifico Lorenzo fu mandato al Duca di Milano insieme con Atalante Migliorotti a presentarli una lira».
Circa gli altri quattro, sono emersi recentemente molti nuovi elementi. "Salai milanese" è identificato con Gian Giacomo Caprotti, detto Salai o Salaino (cioè "piccolo diavolo"), originario di Oreno di Vimercate, in Lombardia. A partire dal 1504 Salai, in quegli anni a Firenze, fu uno degli intermediari più autorevoli fra Leonardo e i suoi committenti. Grazie a questo commercio, riuscì a mettere insieme una notevole fortuna. Sposatosi, tornò a Milano dove, nel 1524, morì ucciso da un colpo di scoppietto. A lungo si era ritenuto, invece, che il Salai fosse insieme al suo maestro quando quest’ultimo morì ad Amboise; ugualmente erronea era la convinzione che nel suo patrimonio fossero confluiti alcuni capolavori di Leonardo. Nella sua eredità, per quanto ricca di quadri e oggetti preziosi, non si trovavano dipinti riconducibili alla mano del maestro ma soltanto opere attribuibili alla sua scuola.
Zoroastro da Peretola, reso celebre per la leggenda di un rovinoso tentativo di volo con una macchina di progettazione leonardesca da Monte Ceceri di Fiesole, è identificato con Tommaso Masini, figlio illegittimo di Bernardo Rucellai. Nel 1493 collaborò con Leonardo a Milano, mentre nel 1504 fu accanto al maestro a Firenze per la Battaglia di Anghiari. Successivamente si trasferì a Roma con Giovanni Rucellai, castellano di Sant’Angelo, e presso Miguel da Sylva, cardinale e ambasciatore del Portogallo sotto Leone X e Clemente VII.
"Il Riccio fiorentino" abitava in Firenze nella zona di "Porta alla Croce" e vi sono diverse ipotesi sulla sua attività.
Ferrando Spagnuolo è uno dei due pittori che introdussero in Spagna la lezione leonardesca, nella quale si innestavano suggestioni della maniera di Filippino Lippi e Raffaello. Questi erano Fernando Llanos e Fernando Yáñez de la Almedina che collaborarono nella realizzazione del retablo maggiore della cattedrale di Valencia. Fra i due, il Fernando Spagnuolo, ricordato nei manoscritti leonardeschi, è con ogni probabilità Fernando Llanos che con Leonardo collaborò, regolarmente retribuito, alla Battaglia di Anghiari. A lui si attribuiscono anche molte opere leonardesche eseguite dopo il suo ritorno in Spagna.
L’influenza di Leonardo è particolarmente evidente nelle opere delle botteghe fiorentine attive negli ultimi decenni del Quattrocento. La sua eredità fu raccolta dai Manieristi dei primi decenni del Cinquecento, e grazie all’attività di numerosi artisti leonardeschi operanti in diversi luoghi della Toscana, fu ampiamente diffusa al di fuori dei confini di Firenze.
A cura di Alessandro Vezzosi, con la collaborazione di Agnese Sabato