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Monsummano Alto

Il sito occupa la parte sommitale di uno dei rilievi del versante valdarnese del Montalbano. Rispetto ad altri centri, dove la continuità abitativa ha pesantemente inciso sulla conservazione delle forme originarie del sito, a Monsummano Alto è singolarmente leggibile la morfologia del castello d’età medievale. È in questa forma che viene rappresentato in alcuni dei disegni di Leonardo da Vinci, come nel celebre Paesaggio (Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, n. 8P). Il disegno, realizzato nel 1473, mostra uno scorcio del Padule di Fucecchio visto dal Montalbano (poggio del Belvedere). Sulla sinistra, in primo piano, si riconoscono parti delle mura e delle torri di un castello, identificato con Montevettolini, mentre sulla destra, in lontananza, si scorge il profilo di un castello murato e turrito posto sulla cima di un rilievo a forma di cono rovesciato. La posizione dell’altura rispetto agli altri elementi del paesaggio ha consentito di riconoscere in quel profilo il castello di Monsummano. L’ipotesi è supportata dalle osservazioni relative alle più note mappe leonardiane a volo d’uccello che rappresentano la media Valle dell’Arno, come per esempio La Valle dell’Arno, Windsor Castle, RL 12685.

La località di Montesumano compare per la prima volta in un documento dell’anno 1005. Si tratta della cessione di una serie di beni della potente abbazia al conte Ildebrando di Rodolfo della famiglia degli Aldobrandeschi. Nell’atto si descrivono con abbondanza di particolari alcuni beni che vengono esclusi dalla cessione: si tratta della cosiddetta Lama di San Vito, localizzata nei presi della Nievole e definita nei suoi confini da una strada che va da Montesumano fino al ponte sulla Nievole. La prima menzione di un castello sul luogo detto “Monsummano” risale solo ai primi decenni del XII secolo quando il centro fortificato sembra già parte dei possessi della famiglia comitale degli Alberti. Qualche decennio più tardi, nel 1181, il castello di Monsummano risulta controllato da un ramo collaterale della famiglia, rappresentato dal capostipite Guido di Rodolfo, detto il Borgognone, lo stesso ramo degli Alberti che ancora agli inizi del Duecento vantava diritti sul castello di Montevettolini. Nell’atto del 1181 il conte mette a disposizione della città di Lucca i suoi castelli della Valdinievole, strategicamente determinanti, in quel momento, nella definizione dei territori di pertinenza delle città di Lucca e Pistoia. Il castello di Monsummano, come Montevettolini, si trovava sul confine conteso fra le due città che andavano formando, proprio in quegli anni, il proprio contado.
A seguito della crisi che investì la casata degli Alberti agli inizi del Duecento il castello di Monsummano, ormai organizzato come comune rurale, risulta definitivamente in mano alla città di Lucca, che ne fa un baluardo contro la pressione di Pistoia in Valdinievole. L’importanza prevalentemente strategica del castello di Monsummano per Lucca, che lo aveva letteralmente acquistato nel 1218, risulta con chiarezza dallo statuto lucchese del 1308, dove ben due rubriche sono dedicate alla difesa del possesso del castello, del poggio, della torre e del distretto castellano. Tuttavia solo pochi decenni dopo, nel 1329, anche Monsummano, come gli altri castelli della Valdinievole, si sottomette a Firenze, che aveva cominciato la sua inarrestabile espansione ai danni delle città vicine. La comunità di castello, governata da un podestà di nomina cittadina, era la più piccola fra i centri della Valdinievole. La già scarsa consistenza demica di Monsummano rispetto, ad esempio, a Montecatini o a Montevettolini, non riuscì ad invertire la tendenza al decremento demografico, fenomeno in atto nelle campagne dalla metà del Trecento. Una delibera fiorentina del principio del secolo successivo ci informa che la Signoria, impegnata al tempo nella sistematica ricognizione delle strutture difensive del suo contado, aveva ordinato il restauro della rocca del castello diventata inagibile. Nel 1466 il vescovo di Lucca non può salire al castello a causa delle pessime condizioni della strada, e allo stesso tempo il rettore della chiesa di Monsummano lamenta la scarsa frequentazione delle funzioni sacre, evidente indizio di una tendenza all’abbandono del sito.
Alla fine del Quattrocento lo spopolamento del centro castellano risulta inarrestabile e allo stesso tempo sono documentati i primi segni dell’occupazione della piana posta ai piedi del rilievo di Monsummano. Ad esempio, in località “le Case” è ancora conservato un edificio che sembrerebbe datato, sulla base di uno stemma mediceo, all’anno 1516. All’inizio del Cinquecento, dunque, la pianura su cui sorgerà il nuovo centro di Monsummano era già in buone condizioni di vivibilità. La moderna Monsummano deve il suo sviluppo all’intervento del Granduca Ferdinando I cui si deve la fondazione del grande Santuario di Fonte Nuova. Il luogo di culto venne dedicato alla Vergine a seguito di eventi miracolosi fra cui, soprattutto, lo scaturire di una fonte presso il tabernacolo che conservava l’immagine venerata della Madonna, che si trovava ai piedi del colle dell’antico castello.
Nonostante l’avanzato degrado delle strutture e il crescente abbandono del sito, documentati per tutto il corso del Quattrocento, Leonardo rappresenta Monsummano nei suoi disegni ancora piuttosto ben conservato, almeno negli elementi più caratteristici dell’impianto castrense. È quanto è possibile osservare oggi sul colle di Monsummano Alto. Del castello medievale rimangono ben leggibili l’impianto planimetrico, una ellissi di forma allungata, una parte considerevole delle mura in elevato, e il complesso religioso. Le mura di cinta sono realizzata in bozze di pietra calcarea locale. Erano dotate di merli e vi si aprivano feritoie arciere, visibili sul prospetto settentrionale. Sono perfettamente conservati due accessi del castello: la Porta di Nostra Donna, a Nord-Ovest, verso la Valdinievole, e la Porta del Mercato o del Pidocchio a Sud, in direzione del vicino castello di Montevettolini. I due accessi presentano caratteri costruttivi simili, come ad esempio l’uso di materiale lapideo di dimensioni eccezionali, anche superiori al metro, sugli stipiti e le aperture, costituite da profondi archivolti coperti con volta a botte realizzata con materiale lapideo disposto per coltello. Le fronti delle aperture sono dotati di arco a tutto sesto in conci squadrati e lisciati disposti radialmente che disegnano sull’estradosso un arco crescente tendente all’arco acuto. La differenza più evidente fra le due porte è costituita dal sott’arco a sesto ribassato presente solo sulla faccia esterna della Porta di Nostra Donna, che si innesta sulle mensole stondate con cui terminano due dei lunghi conci degli stipiti. Questa soluzione potrebbe appartenere ad una modifica avvenuta successivamente al passaggio del castello sotto il controllo fiorentino (1329) mentre l’impianto originario delle difese sembra risalire alla metà del Duecento. Solo la torre pentagonale, che si trova sul vertice settentrionale della cortina muraria, potrebbe essere stata realizzata fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, nel quadro del potenziamento delle difese castellane promosso dalla città di Lucca. Di questa torre si parla già, infatti, negli Statuti lucchesi del 1308, a proposito della necessità di eseguire lavori di riparazione in modo da consentire al castellano di tornare nuovamente a risiedervi. La maggior parte del tessuto abitativo medievale si trova sotto forma di rudere, in gran parte coperto dalla vegetazione. In posizione centrale, sulla parte più alta del rilievo, sono raccolti gli edifici pubblici del castello, la Chiesa di San Niccolò, la canonica e l’antica sede della Compagnia del Santissimo Sacramento. Sulla piazza pubblica, la “platea communis” rammentata negli statuti trecenteschi, si affacciava anche il palazzo del comune, residenza del podestà. La chiesa, ad aula unica, monoabsidata, presenta numerosi segni di restauri e modifiche delle murature originarie che si sono protratti fino a tutto il Seicento. Tuttavia sulla parte bassa del prospetto settentrionale e sulla facciata sono visibili le murature del primo impianto, in conci squadrati di calcare locale (alberese) anche di notevoli dimensioni, tipico delle chiese del cosiddetto “Romanico Pistoiese”. Purtroppo il prospetto esterno dell’abside originaria della chiesa di San Niccolò risulta coperta da una costruzione successiva, rendendo invisibile un bellissimo esempio di abside romanica realizzata mediante conci lisciati e sagomati a formare la superficie curva del catino absidale. Al centro, una monofora stretta e lunga, con la chiave d’arco lavorata a rilievo (testina antropomorfa). La parte bassa del campanile risulta particolarmente interessante perché presenta un passaggio voltato del tutto analogo a quello del campanile della chiesa di Montevettolini. In questo caso la soluzione architettonica della torre-porta dava accesso ad uno spazio libero posto sul retro della chiesa.
A cura di
Silvia Leporatti
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